di Cinzia Ficco
Due libri che spiegano i legami nascosti nellì’albero genealogico. Per chi vuole riscoprire il gusto di vivere. Senza catene.
Si tratta di: “La sindrome degli antenati’–psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell’albero genealogico”, di Anne Ancelin Schutzenbergere “Una malattia chiamata genitori”, di Anne Ancelin Schutzenberger e Ghislain Devroede”, editi da Di Renzo. La curiosità di leggerli mi è venuta dopo aver visto una delle ultime puntate di Voyager, dedicate alla Schutzenberger, 90 anni, professore emerito di psicologia all’Università di Nizza e cofondatrice dell’Associazione internazionale di Psicoterapia di Gruppo. La sua esperienza è nota in tutto il mondo, soprattutto per la psicoterapia di gruppo e lo psicodramma. Ed è ancora attiva.
Nonostante l’età e qualche acciacco, di recente ha dato alle stampe un altro libro. E’ intitolato ”Il Piacere di Vivere” (Di Renzo) e rappresenta una sorta di sintesi del lavoro svolto in sessanta anni, in cui non mancano messaggi di speranza a chi è affetto da disturbi, tipo: costipazione, asma, stipsi, problemi digestivi che, secondo l’autrice, sarebbero legati a disagi psichici, a una sorta di dipendenza inconscia. Ad una “lealtà familiare” invisibile e inconsapevole. Ma devastante.
Nel primo dei due libri, giunto in Francia alla quindicesima edizione, l’esperta spiega e fornisce esempi clinici del suo originale approccio psicogenealogico alla psicoterapia. Fa capire che siamo anelli in una catena di generazioni, e spesso non abbiamo scelta e diventiamo vittime di eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati. “La vita- scrive- di ciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutti viviamo prigionieri di un’invisibile ragnatela, di cui siamo anche un po’ gli artefici. Se imparassimo dal nostro terzo orecchio e dal nostro terzo occhio ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare, e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l’esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere. Ma è possibile sfuggire a questi fili invisibili, a queste triangolazioni, a queste ripetizioni? Siamo, in fondo, in un certo senso, meno liberi di quanto crediamo. Pertanto possiamo riconquistare la nostra libertà e svincolarci dalla ripetizione, capendo ciò che accade, afferrando questi fili nel loro contesto e nella loro complessità. Possiamo così vivere la nostra vita e, non quella dei nostri genitori o dei nostri nonni, o di un fratello morto- per esempio-che noi rimpiazziamo, consapevolmente o a nostra insaputa.
Secondo l’autrice questi legami si possono vedere, sentire o intuire, almeno in parte, ma generalmente non se ne parla: vengono vissuti nell’indicibile, nell’impensabile, nel non detto o in segreto. “Tuttavia- si legge ancora- esiste un modo per trasformare sia questi legami, sia i nostri desideri, affinché le nostre vite diventino a misura di ciò che noi desideriamo, dei nostri desideri, di ciò di cui abbiamo voglia e bisogno profondamente per esistere (e non di ciò che qualcun altro “vuole per voi). Se non si è governati dal caso o dalla necessità, si può comunque cogliere la propria occasione, cavalcare il proprio destino, capovolgere la sorte sfavorevole ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce”.
E quindi? Che la nostra vita sia l’espressione del nostro autentico essere: è questo, in fondo il lavoro della psicoterapia e della formazione.
Ma per comprendere subito la teoria che la psicoterapeuta porta avanti, si legga la pagina 59, sempre del primo libro. Scrive Schutzenberger: “Supponiamo che io sia il signor Artur Dupont, consapevole e vergognoso del fatto che mia madre sia una figlia naturale, nata e allevata in un villaggio dell’Isère. Se non voglio che i miei figli lo scoprano, arriverò a non parlare mai di mia madre, del villaggio dell’Isère, delle Alpi e delle montagne; dirò che ho orrore dell’alpinismo e che non amo altro che nuotare e il mare, trascinando cosi tutta la mia famiglia in vacanza nel Mediterraneo. Il segreto, il non detto si estende a macchia d’olio e comporta zone d’ombra sempre più grandi. Le parole occultate si comportano come dei folletti invisibili che si applicano nel rompere, partendo dall’inconscio, la coerenza dello psichico. Le ripetizioni si manifestano senza una presa di coscienza o una razionalizzazione di ciò che accade. Per esempio, i segreti familiari vengono investiti di libido e determinano la professione, le scelte del tempo libero e i passatempi”. Per questo è il non detto, sottolineato però dal silenzio e dall’ evitamento, che parla e agisce.
Nell’altro libro, ”Una malattia chiamata genitori”, la professionista scrive che in maniera del tutto inconsapevole, i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri avi, ci lasciano in eredità problemi non risolti, traumi non “digeriti”, segreti indicibili. Quando le cose non vengono dette, il corpo – lui sì- deve per forza esprimerle: questa è la somatizzazione. Il corpo del bambino- figlio, nipote o pronipote- qualunque sia la sua età, si trasforma nella voce dell’antenato ferito, nella “parola”del suo trauma. Diventa allora necessario “tirare fuori lo scheletro dall’armadio”, decodificare le ferite non rimarginate e occuparsene, per liberarsi ‘dal freddo’ che ci hanno portato dentro.
“La maggior parte dei bambini- si legge nel libro scritto a due mani con un esperto di disfunzioni dell’apparato digestivo, chirurgo all’Università di Sherbrooke- ha genitori ‘sufficientemente buoni’ per sopravvivere, oppure sa come sbrogliarsela (bambini resilienti), ma non tutti. Durante la giovinezza, e ancor più nell’approssimarsi all’età adulta, i bambini malati a causa dei propri genitori soffrono intensamente. Molti, per esempio, accusano un ‘mal di pancia’ che compromette la loro vita. Oggi sappiamo che le malattie e i disturbi digestivi sono spesso legati a traumi familiari, tra i quali figurano anche le violenze sessuali. Ma ci sono disturbi che dipendono dai propri genitori e sono frutto di traumi di guerra, di morti insepolti, di lutti non elaborati, di carenze affettive, di separazioni dovute ad internamenti, di malattie gravi della madre o del padre o, peggio ancora, della loro morte. Questi bambini, sovente, ripropongono i sintomi dei genitori, soprattutto con il sopraggiungere dell’età in cui si è verificato il trauma primario. In tal caso parliamo di sindrome da anniversario, che – come ha dimostrato Schutzenberger si ripete di generazione in generazione. Se sia colpa o meno dei genitori non è il vero problema: ciascuno fa quel che può, con i mezzi che ha, ed è inutile cercare un colpevole. D’altronde, il trauma originario potrebbe anche risalire ai bisnonni. Resta il fatto che i bambini ne soffrono, spesso anche nell’arco di più generazioni. E non soffrono nella loro testa, ma sul loro corpo. Essi hanno i denti allegati, perché i loro genitori hanno mangiato l’uva acerba.