di Maria Ferrante
Capisco e condivido, avendo studiato anche io in Italia per la prima laurea. Ci racconti un po’ allora di questo progetto?
Il progetto Spaces for Social Rights nasce dall’esigenza di rintracciare i fondamenti speculativi del diritto alla salute in modo da potere offrire le evidenze riscontrate ai policy-makers regionale, committente del progetto. L’obiettivo è quello di creare, attraverso le analisi effettuate sul campo dei casi studio individuati, strumenti che siano utili per valutare l’efficienza degli spazi e la qualità dei diritti.
Tu credi che la salute sia un diritto? Un diritto di tutti? E se sì, come vedi possibile in potenza la sua realizzazione?
La salute è l’unico diritto qualificato come fondamentale dalla Costituzione Italiana. Se guardiamo alle costituzioni di molti altri paesi la salute è un diritto sempre riconosciuto. Addirittura come sappiamo esiste il riconoscimento del diritto sia a livello europeo che globale. Tuttavia si tratta di un diritto che sconta uno scarto fortissimo fra la sua attuazione e il suo riconoscimento. Tanto più nei paesi in cui la razionalità economica potrebbe prevalere su quella giuridica e sociale, cioè là dove non sono previste piattaforme istituzionali adeguate di mediazione e riequilibrio fra le istanze sociali e le istanze economiche in gioco.
Quando si dice ricerca e diritto alla salute, ho l’impressione che si pensi sempre alla medicina e ad ambiti più “clinici” e scientifici della ricerca. Quanto credi che sia importante la ricerca anche in questi ambiti del sapere così critici per la futura evoluzione e benestare dell’umanità, ma forse anche percepiti come meno rilevanti o concreti?
Si in effetti può sembrare spesso un tema esclusivamente clinico. In realtà l’evoluzione del concetto di salute ci dice sempre più che alla definizione di salute partecipano in modo fondamentale, non solo i clinici ed i medici, ma anche gli scienziati sociali, i giuristi, così come le comunità e le popolazioni, cioè gli attori collettivi. Questi sono i soggetti attivi che elaborano la definizione di salute grazie agli strumenti concettuali che la loro storia fornisce. Cioè la salute non costituisce un assoluto scientifico ma contribuiscono a costruirla fattori sociali, culturali, psicologici che sono extra-clinici ma che dobbiamo tenere in considerazione e che il Diritto come scienza sociale per fortuna registra.
Parlando di ricerca e di utilizzo globale ( o quasi) di internet nella formazione del sapere: da un lato nel passato la ricerca e l’evoluzione della conoscenza erano relegate a “pochi eletti” pensatori e studiosi, oggi abbiamo un sistema molto più capillare e secondo alcuni aspetti più democratico. La conoscenza( o sarebbe meglio dire le informazioni) sono disponibili e alla portata di tutti con la rete. Oggi poi con la rivoluzione web 2.0 le informazioni non sono solo fruibili, ma anche creabili da tutti. Come credi sia cambiato il modo di fare ricerca quindi e quali conseguenze pensi che ci siano in un sistema tale di formazione del sapere?
Beh si, le informazioni circolano oggi molto più velocemente, ma credo che la teoria della comunicazione rimanga pressoché la stessa. In un sistema in cui quasi tutte le informazioni sono disponibili diviene importantissimo avere gli strumenti per interpretare tali informazioni e sapere creare una sorta di gerarchia di rilevanza fra le stesse informazioni per poterle utilizzare. I rischi riscontrabili riguardano il fatto che le conoscenze sono create e diffuse spesso in maniera superficiale, pericolosissima per chi non ha gli strumenti interpretativi, e con l’obiettivo -più o meno consapevole – di cavalcare l’onda emotiva del momento. La conoscenza di massa richiede pertanto una verifica ragionata delle fonti e un controllo, in alcuni casi empirico dei dati, processo non semplice e spesso non desiderato in quanto “pericoloso” per il continuo flusso di informazioni.
Sì, soprattutto rispetto alla teoria e all’etica dell’informazione e di creare conoscenza. In particolare la linea tra ispirazione ed emulazione nella comunicazione digitale sembra essere molte volte sparita. Ricordo per esempio che recentemente mi è arrivata una newsletter con una video-conferenza di autopromozione in allegato. Il tutto molto serio seppur di stampo prettamente commerciale. Guardando il video mi accorgo che alcune delle battute –tali e quali perfino la stessa intonazione- le avevo già sentite in un altro video di un personaggio famoso ed esperto su tali questioni (sì, ammetto di avere un’ ottima memoria uditiva!). Non ci sarebbe forse nulla di male se non fosse che lo speaker in questione proponesse quelle idee come, consentimi l’espressione, “farina del suo sacco”! Che ne pensi?
Sì, è vero questo capita sempre più spesso oggi grazie alla facile accessibilità delle informazioni in formato digitale. E’ quasi come se, per usare un’altra metafora, si fosse davanti ad un banchetto digitale dove tutto è a portata di mano. E’ molto facile non resistere alla tentazione di rubare un qualcosina che ci piace e che è lì disponibile per noi, per riproporlo poi come nostro sotto false sembianze. Dal punto di vista della ricerca, l’utilizzazione e la rielaborazione delle informazioni prodotte dai classici facendole proprie, c’è sempre stata, ma come dici tu c’è una linea sottile tra il rielaborare ed integrare la conoscenza di altri pensatori e semplicemente tras-posizionarla sotto altre spoglie. Questo non è creare conoscenza, ma semplicemente trasportare informazioni da una parte all’altra, contribuendo solamente ad incrementare il traffico dati.
Hai qualche suggerimento quindi per far sì che l’evoluzione della comunicazione di massa in questo senso dovrebbe seguire per far sì che la ricerca non perda il suo valore e la sua sostanza come tale?
I suggerimenti credo che rimangano sempre gli stessi per la ricerca, anche nell’epoca della conoscenza massificata e digitalizzata. Una ricerca che possa definirsi tale deve basarsi su dati, che possono essere di tipo qualitativo o quantitativo, ma che devono essere raccolti con metodi adeguati rispetto agli obiettivi che la ricerca si pone. In questo senso internet fornisce molte informazioni che tuttavia devono essere di volta in volta verificate ed interpretate sulla base delle conoscenze ed esperienze del ricercatore.
Caterina, un’ultima domanda. Forse un po’ generale, ma d’uopo in questa rubrica. Rispondi come credi, senza pensarci su troppo: Che cosa vuole dire per te essere donna?
Essere donna comporta una serie di responsabilità per quanto concerne lo sviluppo di alcune “doti” particolari, come la sensibilità, la perspicacia e la capacità di entrare in relazione con gli altri e condividerne bisogni, dolori e prospettive. Tutto questo potrebbe sembrare semplice ma è molto complesso coniugare l’evoluzione di sé quando in gioco vi sono “talenti” non poco destabilizzanti, se non coordinati e bilanciati rispetto alle singole esigenze della persona. Forse l’armonizzazione degli eventuali conflitti che ne potrebbero derivare è rintracciabile nel fatto che le donne sono chiamate a realizzare il loro sé autentico attraverso la comunicazione, lo scambio e la condivisione sociale. E su questo aspetto penso che tu ci potresti scrivere un libro!
Maria Ferrante lavora nel ramo umanitario da un decennio, occupandosi di migrazioni, rifugiati, diritti umani e libertà civili, sia in ambito legale che sociale. Ha lavorato presso vari Organismi Internazionali viaggiando in cinque continenti. Scrive per lavoro e per piacere in ambiti di ricerca del settore. Attualmente vive e lavora da qualche parte in Africa, ma ha il suo pied à ter in Italia.
Non ama definirsi una “femminista”, ma lavora con le donne e per le donne da sempre. Si considera piuttosto un Umanista: l’uguaglianza nella diversità come la vera ricchezza dell’essere umano, in qualsiasi sua forma.
A Dols.it Maria si diverte a scrivere per ‘Donne nel Mondo’ intervistando o raccontando in prima persona storie di donne speciali che incontra nel cammmino. Donne che ci accompagnano nella riflessione su che cosa voglia dire essere donna oggi, ma in altri luoghi, in altri spazi ed in altre vite. Donne tutte diverse con un denominatore comune: dare il proprio contributo. Per crescere, per evolversi e per migliorare il mondo, a cominciare da se stesse.
1 commento
Buongiorno,
mi scuso se posso sembrare maleducato, ma non è assolutamente mia intenzione esserlo.
Ho letto una volta un articolo interessante su questo sito. Poi però ne ho trovati di molto meno interessanti, direi “autocelebrativi”.
Scrivo perchè lavoro all’estero, e quando dico lavoro intendo dire lavoro (sotto il sole della Nigeria, con condizioni climatico-ambientali molto difficili) e mi pare invece che certe interviste rilasciate su questo sito provengano dai classici “figli di papà”.
Qualcuno sa dirmi il significato profondo di questo articolo? Io, mi scuso per la mia ignoranza, non lo colgo. Non si capisce se è dedicato alla ricercatrice, o all’autrice che scalpita per parlare di se’ (la mia prima laurea, come dire ne ho più di una, completamente fuori luogo nel punto in cui è inserita la frase) ed usa uno stile così affettato da apparire quasi comico.
Del resto ho visto che c’è un altro articolo dedicato a questa umilissima Maria Ferrante, che sembra uno spot per offerta di lavoro.
Non sono contro le femministe, ho una grande idea della dignità delle donne, ma proprio questo modo di scrivere rischia di danneggiare chi invece lavora in silenzio, senza pubblicità ed esibizionismo, anche per la parità, tra le altre cose.
Come sono lontani i tempi di Madre Teresa di Calcutta, e con questo non voglio dire che bisogna essere Suore per fare del bene.
Conosco missionari il cui nome rimarrà per sempre sconosciuto, mentre ci sono pseudo operatori umanitari che approfittano dei lauti compensi delle organizzazioni internazionali, per farsi una vetrina del loro operato (peraltro l’azione delle organizzazioni internazionali, sappiamo quali risultati porta, in rapporto ai mezzi utilizzati) e magari si fanno la stagione invernale sciando a Cortina..
Insomma, un po’ più di umiltà e un po’ più di lavoro.
“La mano destra non deve sapere quello che fa la sinistra” è stato scritto.
Ciao
p.s. ribadisco che c’è anche chi ha scritto cose belle su questo sito